don Giovanni
del limite e della finzione
Di Molière
Traduzione e adattamento Antonio Piccolo
Regia e musiche Mario Autore
Con Mario Autore, Anna Bocchino, Ettore Nigro, Antonio Piccolo, Federica Pirone
Scene Filippo Stasi
Costumi Federica Del Gaudio
Organizzazione e amministrazione Viola Forestiero
Produzione Piccola Città Teatro
SINOSSI
Pare che Molière avesse fretta di rimpiazzare il censurato Tartufo. Tenta allora un colpo da illusionista e ripresenta Tartufo ma gli cambia l’abito. Porta in scena di nuovo una feroce satira contro la doppia morale ma la traveste da denuncia: un giovane nobiluomo, sfrenato e libertino, viene punito dal cielo dopo l’ennesima sua nefandezza. Molière cerca in tutti i modi la strada giusta per non rendersi inviso al pubblico: punisce il dissoluto, lo fa redarguire in scena per mezzo di più d’un personaggio, eppure, ancora una volta, la sua posizione “illuminista” emerge chiaramente, per contrasto, dalla natura ironica e a tratti parodistica degli avvenimenti e la censura, inesorabile, torna ad abbattersi sull’opera del maestro che dopo una breve tranche di recite monche non verrà più riportata in scena. Perché tanto accanimento? Cosa c’era di tanto empio da far ipotizzare una scomunica? La risposta è tanto semplice quanto contemporanea ed è il motivo per cui trovo opportuno riportare oggi in scena questo personaggio mitico e dannato. “Io credo che due più due fa quattro”, sentenzia Don Giovanni, rispondendo a Sganarello che gli domanda se creda al sovrannaturale. Nega l’esistenza di Dio e schiaccia tutta la realtà sul razionale, sulla calcolabilità. Un fiero illuminista ante litteram, non c’è che dire. Eppure, non siamo tutti noi oggi, dopo Nietzsche e tutto il novecento, nel mondo del cielo vuoto?
NOTE DI REGIA
Il padre è evaporato, ci è stato detto. L’uomo, grazie alla ragione – e alla sua applicazione tecnica ha superato tutti quelli che credeva limiti imposti “dall’alto” e si è emancipato dalle catene di una legge superiore. La psicologia è da quarant’anni che parla di epoca del narcisismo e non possiamo esitare, seguendo quelle classificazioni, a individuare in Don Giovanni il prototipo del narcisista patologico. Mi sembra però enormemente riduttivo schiacciare una personalità così complessa su una patologia, è il limite invalicabile delle etichette. Dico di più, Don Giovanni è il rischio che noi tutti corriamo. Lo vedo come un abitante di un pianeta perduto nell’universo. Il mondo di Don Giovanni mi sembra un mondo sospeso. C’è un nichilismo di fondo che manifesta il dubbio metafisico del protagonista. Il suo mondo è sospeso nel nulla, nel buio dell’assenza di Dio, le ciel viene continuamente chiamato in causa e mai risponde. Immagino dunque lo spazio scenico come una propaggine di mondo sospesa nel nulla. E’ il mondo visto dagli occhi di un nichilista estremo. Il vuoto di senso. Tutte le scene, quasi dei quadri da dramma buchneriano, sono ai miei occhi dei saggi didascalici dal sapore brechtiano in cui il poeta si diletta a di-mostrare tutte le sfaccettature della nostra ipocrisia. La primissima scena è magistrale da questo punto di vista. Sganarello, con una tirata dalla retorica ineccepibile, glorifica le virtù del tabacco, che è naturalmente un vizio. Ricorda moltissimo alcuni escamotage della retorica da social network dei comunicatori professionisti del nostro presente. Io ci vedo due cocainomani che sniffano – in effetti il tabacco di cui parla Molière è da fiuto – e mentre sniffano,visibilmente alterati, non possono far altro che lodare le virtù della polvere magica. E così di seguito. La famosa scena del doppio corteggiamento, al di là delle prodezze sceniche retaggio della commedia dell’arte, è da manuale dell’ipocrisia.Eppure chi di noi potrebbe affermare di non essersi mai nella vita trovato in una situazione anche solo virtualmente simile? La conversione è poi l’ennesimo – meraviglioso – atto di ipocrisia.